martedì 26 febbraio 2013

venerdì 22 febbraio 2013

Tendine a punto Hardanger





 
 
Quando mi è stato regalato questo manuale, ritrovato e salvato tra le cose di zia Angelina buttate nella spazzatura, i miei sentimenti sono stati di rabbia e di rammarico per tutto quello che era andato perduto, di dolcezza e tenerezza per quello scricciolo di zia dalle mani con mille virtù e dalla vita sfortunata che faceva dondolare i bambini più piccoli su un piede e recitava "Pisci palumbu jettalu in fundu, jettalu a mari mu si lu pigghja lu pisci cani".
Zia Angelina cucinava "u couscousellu" col brodo di gallina dal sapore inegualiabile. Si arrabbiava e sgridava i ragazzi quando si tiravano pietre rischiando di colpirla, mentre seduta sulla soglia della sua casa, sferruzzava con 5 o 6 ferri stupendi centri di pizzo, che poi inamidava e stendeva ad asciugare al sole. Tutte le sera insieme alla figlia andava alla fontana pubblica, a prendere l'acqua per bere e cucinare, con le bumbule (brocche di terracotta) perchè nei primi anni 60 ancora nessuno nella nostra contrada aveva l'acqua in casa.
 
 
Per non far morire una delle sue passioni ho imparato a fare il suo punto norvegese, conosciuto ai giorni nostri come ricamo Hardanger, fatto su tela dalla trama grossa con sfilature geometriche, un lavoro molto più facile di quello che può apparire.
 
 
Ed ecco le mie tendine!!!
 

martedì 19 febbraio 2013

Riccio a punto croce




Ricci in letargo dentro tronchi d'ulivo,
catturati per essere mangiati,
schiacciati da auto in corsa.
Ricci che tornano a mostrarsi a primavera
e si raggomitolano se li sfiori con le dita.

 
 
 
 
I ricci mi han sempre fatto tenerezza e non c'era soggetto migliore da ricamare in questo pezzetto di tela.

giovedì 14 febbraio 2013

martedì 12 febbraio 2013

Siderno anni 60: riti di vita e di morte




Quanti ricordi possono scatenare un odore, un oggetto, un'immagine!
E' bastato un pezzo di stoffa e il passato è riaffiorato e più lo metto giù a parole e più viene fuori. Questo era l'ultimo periodo in casa mia per ammazzare il maiale, il nero calabrese specie autoctona, dalla carne magra, il cui peso ideale per essere ucciso non doveva superare i 160-180 chili.
E qui veniva il bello! Quelli che dovevano essere dei giorni di gioia, perchè significavano benessere, si trasformavano in giorni di nervosismo, litigi, musi lunghi e bestemmie.
Io non ho mai assistito all'uccisione del maiale, mi chiudevo in casa, tappandomi le orecchie, ma lo stesso mi arrivavano le grida spaventate della "povera" bestia e il mio cuore batteva a mille.
A zio Micu il compito di usare lo "scannaturi", un coltello lungo e affilato con doppio taglio. Mia madre accorreva "cu limbu", grande contenitore di ceramica smaltata, verde se ben ricordo, per raccogliere il sangue col quale avrebbe fatto le "pitte", un dolce che più buono non si può: dentro una sfoglia di pasta frolla, veniva messa una crema ottenuta con poco sangue, zucchero, cacao, vino cotto con scorzette di arancia e mandarino, chiodi di garofano, cannella, vaniglia decorata con mandorle e fatte (perchè non se ne faceva una ma almeno 5 o 6) cuocere nel forno a legna... uuh, non voglio ricordare, 35 anni senza assaggiarla mai più...
La carne per le salsicce e le soppressate si laccijava (tritava) a mano e mio padre presiedeva alla 'nconzatura, la carne veniva salata, pepata con "pipi bruscenti" macinato, semi di finocchio selvatico e rigirata più volte perchè si insaporisse... ricordo ancora quando riempivamo i gudegli (budella) del maiale con gli imbuti di legno!
C'era poi la preparazione della cardara (grande paiolo di rame che si riempiva di cotenna, pezzi di ossa, frattaglie... la cosa più buona per me erano le orecchie, sgranocchiare quelle cartilagini una vera goduria) e anche qui il maestro era mio padre, dal carattere scontroso e violento, ma dalle capacità infinite, un vero esperto, in tutto ciò che riguardava la terra e gli animali.
Giorni di grandi mangiate, "tiane" (pentole di terracotta) di polpette al sugo, broccoli bolliti ad accompagnare fette di fegato e carne alla brace, frittule calde.
Restano solo i ricordi e un proverbio: "Megghju crisciri porci ca figghioli"

lunedì 4 febbraio 2013

Asciugapiatti a punto croce






Arance spremute, con le mani intrecciate, nel bicchiere. Arance sbucciate con le dita un dopo pranzo di inizio febbraio, seduta sul gradino della casa vecchia a scaldarsi al tiepido sole, col succo che gocciola lungo i polsi. I petali bianchi del mandorlo già in fiore che volteggiano nell'aria formando una nuvola lieve e mio padre che grida e bestemmia.
Arance che il maestrale ha fatto cadere, lasciando un tappeto di soli al tramonto, sull'erba.
Arance regalate a Natale.
Arance sanguigne.
Arance a zucchero dall'orto del nonno.
Lo schema, riadattato, si trova su Punto  Croce n.40 dei lavori femminili di mani di Fata.